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Riflessioni e dintorni....

" La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto "   Galileo Galilei

Il Corriere della Sera, 20 marzo 2016

di Paolo Franchi

La mancanza di un (pesante) retaggio storico potrebbe in teoria aiutare il Pd ad assumere, se avesse la passione politica e intellettuale necessaria alla bisogna anche un ruolo guida in un processo di profondo rinnovamento.

L’essenza del movimento socialista risiede nella lotta incessante per «portare avanti chi è nato indietro». Questa ormai antica definizione di Pietro Nenni, che faceva storcere la bocca ai dottrinari di tutte le specie, ma in realtà coglieva nel segno, mi è tornata alla mente, all’indomani del voto tedesco, leggendo sul Corriere, nell’intervista di Paolo Valentino, le parole dell’ottuagenario Otto Schily sulla crescente e forse definitiva marginalizzazione della Spd: «La narrativa della perequazione sociale non funziona più, i concorrenti sono troppi. Non solo la Linke, ma in parte anche i Verdi, e persino la Cdu–Csu ci contendono questo terreno».

Si può obiettare, naturalmente, che se le cose stanno così è anche perché la socialdemocrazia, nella sua corsa verso il centro, ha gettato troppa acqua sul fuoco della giustizia sociale, e si può dissentire sulle correzioni di rotta proposte dal ministro degli Interni dei governi rosso-verdi. Non si può negare, però, che quella di Schily sia una fotografia abbastanza nitida della realtà, non solo tedesca. Se il socialismo europeo nel migliore dei casi balbetta, e nei peggiori (l’Austria, la Svezia) dice e fa cose riprovevoli, è in primo luogo perché ha smarrito la sua ragione sociale di esistenza senza riuscire a darsene una nuova, più adeguata alle domande di tempi in cui le diseguaglianze e le iniquità sociali non sono certo venute meno, e anzi si sono allargate e approfondite oltre misura, ma hanno assunto forme nuove, letteralmente illeggibili con gli occhiali del Novecento.

In questo quadro il «caso italiano» è (poveri noi …) come sempre originale, ma stavolta solo fino a un certo punto. Il Pd è il partito più forte del socialismo europeo, ma di sicuro non è un partito socialista o socialdemocratico, e nemmeno più un assemblaggio di post comunisti e di post democristiani di sinistra. La mancanza di un (pesante) retaggio storico o, se si preferisce, l’assenza di radici, potrebbero in teoria persino favorirlo, e aiutarlo ad assumere, se avesse la passione politica e intellettuale necessaria alla bisogna, anche un ruolo di guida in un processo di profondo rinnovamento politico e culturale della sinistra europea. Ma, appunto, in teoria.

Perché, nella realtà, le cose vanno in un altro senso. Forse non verso il partito della Nazione propriamente detto. Sicuramente verso un partito pigliatutto del Capo che ambisce a recuperare sul centro e sulla destra quello che ha già perso e quello che perderà sul versante opposto, fin qui soprattutto in termini di astensione, domani chissà. Vedremo presto se il disegno, sul piano elettorale, funziona. Già adesso è o dovrebbe essere evidente, però, che con le sorti della sinistra (e non si parla qui della sinistra radicale o antagonista) ha poco da spartire. Sul terreno politico è questo, in sostanza, che la minoranza del Pd e, su un piano un po’ diverso, Massimo D’Alema contestano a Matteo Renzi.

Non è certo una contestazione da poco, visto che investe, oltre allo stile di comando interno, la natura stessa del partito: in altri tempi, sarebbe bastato molto meno per aprire la via a una scissione. Almeno per il momento, invece, non se ne parla. Per tante ragioni, si capisce. Ma prima di tutto per il banalissimo motivo (arcinoto tanto a Renzi quanto ai suoi contestatori) che lo spazio per un partito di sinistra nato dalla secessione di un pezzo di ceto politico già ampiamente sconfitto sarebbe molto modesto. E non solo per via dell’Italicum.

Per tornare a Schily. Se le sue parole hanno un senso non solo per la Germania, dove può mai portare in Italia un’opposizione legittima, certo, e per molti aspetti anche fondata, che dà battaglia in nome di un passato (poco importa se comunista, socialdemocratico o addirittura ulivista) di sicuro meno inglorioso di come lo dipingono Renzi, i suoi yes boy e le sue yes girl, ma che in ogni caso non tornerà più, perché, in Italia come altrove, ne sono venuti meno i paradigmi? La risposta più scontata, ma non per questo necessariamente la più banale, è: da nessuna parte.

Eppure una sinistra che non vive solo di passato dentro e fuori il Pd, in Italia c’è, più vasta di quanto si creda. E soprattutto, da noi e in Europa, di una sinistra, o più semplicemente di un nuovo punto di vista di sinistra che abbia un suo peso politico e culturale, c’è bisogno, anche per far fronte al dilagare dei populismi reazionari che spesso trovano la loro più forte base di consenso proprio negli insediamenti tradizionali della sinistra d’antan. Si fatica assai a rinvenire soggetti politici e sociali, nonché forze intellettuali, adeguati all’impresa, e la cosa può apparire rétro.

Ma questa è forse l’ultima occasione per provarsi a pensare in grande, e a stilare una carta dei valori e un’agenda politica per la sinistra italiana ed europea del Terzo Millennio.

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