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" La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto " Galileo Galilei
Libero, 27 febbraio 2016
di Giampaolo Pansa
Il primo sintomo che Matteo Renzi preparava un regime personale e autoritario fu la decisione presa senza consultare nessuno dei cervelli raccolti a Palazzo Chigi. Riguardava la vecchia stazione ferroviaria di Firenze, la Leopolda, dove si erano tenute tutte le convention renziste. All' improvviso, nel gennaio del 2017, il premier la dichiarò monumento nazionale, nonché patrimonio dell' umanità.
Sbalordito, il suo consigliere principe, ovvero lo spin doctor Filippo Sensi, gli domandò il motivo della decisione.
Matteo rispose: «Il governo ha le casse vuote. Dovremo vendere i monumenti veri. La Leopolda non la vorrà nessuno, tanto è brutta. E quella resterà nostra». Sensi, un signore trasandato, ma molto astuto, adorava il premier. Lo ammirava per la sua capacità, come scrisse una volta, di governare l' Italia «con determinazione e calviniana leggerezza». E non osò replicare.
Renzi si mosse con celerità.
Vendette il Colosseo a un trust di cinematografari americani che lo trasformarono in un set per filmacci sull' antica Roma. Il Duomo di Milano andò a uno svizzero super miliardario che voleva celebrare lì il proprio funerale. La Torre di Pisa passò a una società che intendeva raddrizzarla e conquistare una notorietà mondiale. La Mole Antonelliana non la volle nessuno.
In compenso un colosso cinese-russo disse a Matteo di essere pronto ad acquistare tutto il centro storico di Firenze. Ma lui rifiutò.
Sensi gli chiese il perché. Allora il premier gli rivelò di avere un asso nella manica: «Trasferirò a Firenze la salma di San Pio da Pietrelcina. Dopo l' arrivo a Roma per il Giubileo, voluto da papa Bergoglio, il santo è pronto per essere trasferito a Firenze. E di lì non si sposterà più. In questo modo tutti i pellegrini verranno da noi e pagheranno la tassa che metterò».
Quando il santo diventò toscano, Renzi continuò a vendere gli immobili storici dello Stato. Sorprese tutti la cessione di Palazzo Chigi a un riccastro indonesiano, socio del Thohir padrone dell' Inter. Ma nessuno osò protestare. Anche perché Matteo il Grande annunciò che il Quirinale sarebbe diventato la sede del governo. Sergio Mattarella fu costretto a ritirarsi nella dependance del palazzo. Poche stanze sorvegliate da quattro corazzieri sopravvissuti a uno spietato taglio delle spese.
I media occupati - Ma a Matteo il Supremo interessava soprattutto valorizzare al massimo la propria figura di statista. E confidò a Sensi: «Dobbiamo intervenire sui media, rottamare quelli ostili ed esaltare quanti ci sono amici». Il primo campo d' azione fu la tivù. Per la Rai non ebbero problemi. Dai direttori di rete ai capi dei telegiornali era già pronta a cantare le lodi del premier. Urbano Cairo fu costretto a cedere la Sette a un outlet di Rignano sull' Arno. Enrico Mentana, sessantenne da pensionare, venne mandato a reggere il consolato di Tangeri, in Marocco.
A "Otto e mezzo" la Gruber fu sostituita dalla senatrice Cirinnà, per risarcirla della fatica spesa sulle unioni civili. Le reti Mediaset vennero ridotte al solo Canale 5 dallo stesso Silvio Berlusconi in cambio della riabilitazione politica.
Più complicata fu la partita dei grandi media stampati.
Nessuno dei direttori rimase in sella. Al Corriere della Sera si insediò il massiccio Fabrizio Rondolino, il leader dell' ala sinistra del renzismo. Repubblica passò sotto la guida di Luca Sofri, marito della capa della Terza rete Rai. La scelta dal nuovo direttore della Stampa venne lasciata a Sergio Marchionne, il super manager della Fiat. Lui garantì al premier: «Della vecchia Busiarda mi occuperò io nei momenti liberi. Diventerà il mio giornale aziendale».
Infine il premier tentò il colpo più imprevisto. Scovò i finanziatori per fondare un quotidiano mai esistito: La Voce del Gufo. Disse a Sensi: «Lo affideremo gratis ai rosiconi italiani che odiano il mio governo. Potranno sfogarsi su quelle colonne, con una tigna così stupida che nessuno gli crederà più». Ma il progetto naufragò perché non venne scovato il direttore. I gufi veri rifiutarono di stare al gioco, dicendo: «Il premier vuole soltanto dei velinari. Ci mandi uno dei suoi tifosi a dirigerlo». Non accettò nessuno, neppure Andrea Bonini che sul tigì di Sky ogni sera recitava il vangelo renzista. E la Voce del Gufo non arrivò mai nelle edicole.
Ma il vero boom del nuovo Renzi fu ancora un altro. Ordinò al povero Sensi, stremato da tutti questi nuovi impegni, di far circolare la voce che la cancelliera tedesca, la mitica Angela Merkel, si era innamorata di Matteo. La signora ci provò a smentire questo gossip fasullo. Ma il diabolico team renzista inviò a tutte le televisioni europee un set di fotografie che ritraevano i due colombi in affettuosi cicì e ciciò. E molti si convinsero che il flirt era vero.
Chi reagì malissimo fu la ministra Maria Elena Boschi. Dopo la conclusione della riforma costituzionale, la signorina si sentiva trascurata dal premier e priva di un incarico. E decise di vendicarsi. Telefonò ad Alfonso Signorini, il superstite direttore del settimanale Chi, e si disse disposta a rivelare tutto sul suo amore per quel farfallone di Matteo: «Lo avevo implorato di rendere pubblica la nostra intesa profonda, ma lui si è rifiutato di farlo. Sostenendo che i cattodem del Pd avrebbero rovesciato il governo, mandando l' Italia a carte quarantotto. Sono stata costretta a ritirarmi ad Arezzo e ad aprire una boutique, ma soltanto per amor di patria!».
Elezioni abolite - In verità alla patria ci stava già pensando Matteo. Abolì le elezioni amministrative in tutti i comuni al di sopra dei ventimila abitanti. A governarle mandò un battaglione di anziani commissari, scelti tra i prefetti in pensione. L' unico grande centro dove rimase possibile votare fu Firenze. Il sindaco Dario Nardella, grazie alla ricchezza dovuta alla salma di San Pio, venne rieletto con il settanta per cento dei voti. Ma si montò la testa e un giorno dell' autunno 2017 osò contraddire Renzi.
Matteo lo obbligò a dimettersi e gli offrì un nuovo incarico: la Guida turistica governativa. Nardella si rifiutò di accettare e scomparve nell' anonimato.
Matteo il Supremo continuò a imperversare. Favorito dal suicidio di tutte le opposizioni. Il Partito democratico si dissolse in tredici correnti. La più robusta, guidata da Matteo Orfini, poteva contare soltanto su un misero tre per cento. L' alleanza di centrodestra svanì nel nulla.
Silvio Berlusconi, superata la barriera degli ottant' anni, richiamò nella villa di Arcore la fidanzata Francesca Pascale e il barboncino Dudù, esiliati dal Cavaliere in un appartamento lussuoso, ma un tantino pacchiano. Matteo Salvini sciolse la Lega e venne ingaggiato dalla Legione straniera perché insegnasse alle reclute i vantaggi dell' aggressività. La Giorgia Meloni mise alla luce due gemelli e divenne una mammina dolcissima che non urlava più.
Nel frattempo il mondo continuò a procedere per suo conto. In Libia scoppiò la guerra contro il Califfato nero. La crisi economica seguitò a imperversare. I migranti continuarono ad arrivare su centinaia di barconi. L' Italia diventò un paese multietnico con le inevitabili conseguenze sociali quotidiane.
(Per fortuna di tutti, le vicende descritte in questo Bestiario esistono soltanto nella fantasia del suo pazzo autore).
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