Il Corriere della Sera 28 aprile 2916
di Antonio Ferrari e Guido Olimpo
Il più grande «giallo» della storia
La parte del rapporto della Commissione del Congresso sulle stragi del 2001 che è rimasta finora ignota potrebbe presto essere resa pubblica. E chiarire finalmente se l’Arabia Saudita in quanto Stato, o suoi funzionari, abbiano avuto un ruolo negli attentati. Qui le nostre due firme spiegano i punti ancora (incredibilmente) oscuri, 15 anni dopo l’attacco che ha cambiato il mondo.
Il direttore dell’Intelligence degli Stati Uniti James Clapper ha affermato che entro giugno potrebbero diventare pubbliche le 28 pagine segrete del rapporto compilato dalla Commissione congressuale sull’11 settembre 2001, cioè sulle indagini legate al micidiale attacco all’America, costato quasi 3.000 morti. Indagini che avrebbero portato ad esiti clamorosi. Diciamo subito che non si tratta della certezza della pubblicazione del dossier, ma di una concreta possibilità. Potrebbero, per esempio, diventare di pubblico dominio alcune delle 28 pagine che fanno tremare un Paese, l’Arabia Saudita, e potrebbero creare imbarazzi e preoccupazione anche negli gli Stati Uniti. Un paio di parlamentari statunitensi che hanno avuto modo di leggere i documenti «coperti» hanno sostenuto di essere rimasti scioccati dal contenuto.
Tra speculazioni e sospetti
È chiaro che le 28 pagine, al centro dei tesissimi colloqui tra il presidente Barack Obama e il re Salman (sopra, foto Ap), avvenuti recentemente a Riad, non sono le tavole della Legge, però quelle pagine che scottano potrebbero davvero gettare un fascio di luce sul possibile ruolo del ricchissimo regno nell’attacco alle Twin Towers e al Pentagono. Pubblicarle (tanto prima o poi comunque accadrà) potrebbe da una parte tacitare le speculazioni e le teorie cospirative che si stanno intrecciando; dall’altra, il rifiuto di pubblicarle non farebbe altro che alimentare gli interrogativi, trasformando i sospetti in certezze. Da Riad hanno sempre risposto con smentite veementi respingendo ogni accusa e taluni osservatori statunitensi hanno provato a distinguere tra il coinvolgimento eventuale dello Stato e quello a titolo personale da parte di qualche funzionario con simpatie pro-Jihad. Tutto difficile da dimostrare, a meno che non ci sia una volontà politica che vada fino in fondo.
La certezza assoluta
È una storia complessa e complicata, in cui si mescolano e si confondono uomini ombra, amicizie pericolose, fino ad arrivare ai jihadisti assassini. Sono infatti ben note a tutti le connessioni tra la petro-monarchia più ricca del mondo e il fondamentalismo islamico. Abbiamo deciso, escludendo di affidarci alle suggestioni di sapore ideologico del film «Fahrenheit 9/11» di Michael Moore, di elencare una serie di fatti e di episodi, che andiamo a illustrare sinteticamente. Fatti ed episodi che indicano una serie di misteri che — almeno si spera — le 28 pagine potrebbero rivelare. Aspetti che anche influenti congressisti repubblicani — dunque dello stesso campo dei Bush — vogliono chiarire.
Partiamo da una certezza assoluta è incontrovertibile: su 19 membri del commando qaedista 15 erano sauditi. Non sarà una prova regina di più alte responsabilità, ma è di sicuro un indizio molto pesante.
Mistero numero 1
Il 19 settembre del 2001, otto giorni dopo l’orrendo massacro, Claudio Gatti sul Corriere della Sera(tocca l’icona blu per leggere l’articolo) scrive che le autorità statunitensi indagano sull’improvvisa e massiccia vendita di titoli assicurativi e di compagnie aeree. Tutto è avvenuto nella settimana che ha preceduto le stragi. I manipolatori, quindi i protagonisti nell’ombra, sapevano quanto stava per accadere? Hanno ricevuto informazioni a livello di governo? Uno degli scenari, all’epoca, era che figure colluse con il commando di jihadisti suicidi abbiano organizzato la cessione di titoli che, dopo gli attentati, sarebbero crollati. Magari per ricomprarli subito dopo il crollo.
Mistero numero 2
A fine settembre 2001 l’ex presidente George H.W. Bush, padre del presidente in carica George W., compie un viaggio in Italia e in Svizzera, a Lugano. La missione è collegata ai rapporti economici della famiglia con la Carlyle, società dove convergono interessi multinazionali. Ci sono grandi imprenditori europei e anche membri del clan Bin Laden, parenti stretti del più ricercato terrorista del mondo, Osama. Sulla connessione texana, il petrolio e le storie e le indiscrezioni sugli arditi business americano-sauditi si scriverà a lungo. Ciascuno offrirà la propria interpretazione. Certo, vi è stato un altro episodio da chiarire: l’evacuazione e l’immediata partenza dagli Usa, all’indomani dell’eccidio, di membri del clan Bin Laden e di esponenti della famiglia reale saudita. Forse con lo scopo di sottrarli a situazioni o domande imbarazzanti.
Mistero numero 3
Ci porta in California, e precisamente a San Diego, dove vivono due sauditi assai intriganti: Omar al Bayouni e Osama Basnan. Il primo è stato dipendente governativo, e si è poi stabilito sulla costa occidentale degli Usa. Il senatore repubblicano Bob Graham ha precisato alla rete Cbs che l’Fbi lo aveva schedato come membro dei servizi segreti sauditi. È lui ad assistere, nel 2000, Khalid al Mihdar e Nawaf al Hazmi quando arrivano da Los Angeles. Paga l’affitto di un appartamento e aiuta insomma due degli attentatori dell’11 settembre. Sosterrà di averli conosciuti per caso in un ristorante, e sempre per caso l’incontro coincide con una visita al consolato del regno. Omar non chiarirà mai la sua posizione, in quanto andrà all’estero nel 2001, due mesi prima dell’attacco.
I legami di Osama Basnan sono ancor più interessanti. Ha ricevuto forti somme di denaro dall’ambasciatore saudita negli Stati Uniti, il principe Bandar Bin Sultan (foto sotto, Reuters), e da sua moglie, la principessa Haifa. Bandar è da decenni uno degli uomini più influenti del regno, ed è amico personale del presidente George W. Bush. Che lo riceveva persino più spesso del segretario di Stato Colin Powell. La verità di Basnan sarà sempre la stessa: il denaro era una donazione per curare e assistere la moglie. No, ribattono gli accusatori: i soldi sono finiti nelle mani o nelle tasche dei dirottatori, o meglio degli organizzatori del più grave attentato della storia recente. Basnan verrà espulso, senza conseguenze legali. L’idea prevalente è che i sauditi — a titolo personale o perché hanno obbedito a ordini? — abbiano costituito una sorta di base avanzata per il team incaricato di compiere le stragi. A gestire il team sarebbe stato il diplomatico Fahad al Thumairy, ritenuto assai vicino agli ambienti più estremisti e dunque pericolosissimo. Nel 2003 gli verrà negato l’ingresso negli Usa.
Mistero numero 4
C’è una fonte preziosa. Abussattar Shaikh, presunto informatore dell’Fbi, e in rapporti con Omar al Bayouni a San Diego. La sua testimonianza non è mai stata raccolta, pare per l’opposizione dei federali. È però possibile che il caso rientri nelle 28 pagine top secret del famoso dossier.
Mistero numero 5
Riguarda la Florida. Uno dei jihadisti suicidi, Mohammed Atta, visita una villa di Sarasota, appunto in Florida. La residenza appartiene a un saudita molto vicino alla casa reale, e ha come ospite un connazionale facoltoso. Due settimane prima dell’11 settembre gli abitanti del complesso lasciano fulmineamente gli Stati Uniti. Più che una partenza, ha tutta l’aria di una fuga. Secondo una ricostruzione, nell’edificio sarebbero state trovate tracce dei dirottatori. Alcuni senatori statunitensi ritengono che il governo abbia insabbiato questa delicatissima pista, mentre altri esperti sono stati più prudenti, affermando che alcune testimonianze erano indirette. Infatti riportavano dettagli forniti da altri e per questo non incriminanti.
Mistero numero 6
Zacarias Moussaoui, arrestato il 16 agosto 2001, detenuto in Colorado, potrebbe essere stato il ventesimo kamikaze del commando assassino. Nel 2015 ha deposto, accusando personalità di alto rango del regno saudita di avere finanziato Al Qaeda. Nomi pesantissimi. Alcuni medici hanno diagnosticato problemi mentali, dopo aver visitato Moussaoui. Però i periti hanno certificato che l’uomo è sempre stato in grado di testimoniare.
Mistero numero 7
Al Qaeda, guidata da Osama Bin Laden, ai tempi della guerra in Afghanistan contro i russi armato e addestrato dalla Cia, decide di colpire non solo i suoi ex amici ma anche i loro alleati arabi. Il nemico numero uno dei terroristi è il leader più moderato, il re di Giordania Abdallah. Nell’estate del 2000, mentre era in vacanza nell’Egeo con la regina Rania, che era incinta della principessa Salma, e con tutta la famiglia, viene avvisato da Amman. L’ordine è perentorio: «Maestà, deve rientrare subito in patria». Da militare, il sovrano capisce al volo la gravità del pericolo. Al Qaeda ha organizzato uno spettacolare attentato con barchini carichi di esplosivo. Il re finge abilmente un malore della regina, approda nel primo porto e rientra ad Amman. Pare che a bordo vi fosse un infiltrato: saudita, tanto per cambiare. Il 7 ottobre 2001, quello che doveva essere un segreto di stato, finisce sulla prima pagina del Corriere della Sera(tocca l’icona blu per l’articolo completo). Correttamente, la corte di Amman conferma.
Mistero numero 8
L’8 settembre 2003 il presidente egiziano Hosni Mubarak, al termine di un’intervista al Corriere, chiede di spegnere il registratore. Prende la sua biro e dice: «A un chilometro di distanza, le torri sembrano questa penna. Lo dico perché sono stato pilota di caccia e poi istruttore. Immagini un grosso aereo commerciale. No, non è credibile». Che cosa volesse dire Mubarak è chiaro. È lui stesso a spiegare che potrebbe essere stato manipolato il computer di bordo degli aerei utilizzati per le stragi. Ma per manipolarli occorreva un’organizzazione ben più grande e sofisticata.
Mistero conclusivo (o quasi)
Aspettiamo le 28 pagine. Nell’era del web e di Wikileaks i misteri durano poco.