postato su www.assoelettrica.it, 12 marzo 2016
di Davide Giusti, ricercatore Enea
L’elemento cardine di una politica energetica sono i suoi obiettivi. Fra questi, quello di impedire, eventualmente, il riscaldamento del Pianeta riducendo drasticamente le emissioni cosiddette climalteranti, non è un obiettivo attualmente raggiungibile tecnicamente ed economicamente, se non con una elettrificazione assai spinta, ed attraverso un ricorso equilibrante di rilievo – tra le altre fonti non fossili – anche all’energia nucleare. Gli investimenti piuttosto faraonici sulle nuove rinnovabili hanno, al netto di idroelettrico e geotermico preesistenti, ed ancora delle biomasse, sortito risultati in quota parte assai modesti (4,57% eolico, 7,02% solare; dati 2015, GSE): con la conseguenza però, dato il loro carattere discontinuo, di rendere necessarie e strategiche le fonti fossili, con anche le implicazioni associate alla corsa allo shale gas e al tight oil. I risultati di questi anni, di riduzione delle emissioni, sono stati soprattutto raggiunti dalla crisi economica, con il suo portato di povertà e di disoccupazione. Un accidente della Storia, ma certo non sostenibile socialmente, né come indicazione tecnica, né tantomeno politica.
La congiuntura economica internazionale di questi ultimi anni ha illuso un po’ tutti che le cose dal punto di vista energetico possano continuare ad andare come vanno. Ma la verità è che in mancanza di una radicale revisione della nostra politica energetica, rischiamo di non essere in grado di assecondare neppure una eventuale ripresa della domanda e della produzione, eventi ovviamente invocati da tutti.
Fra gli altri obiettivi, solidi, di un sistema energetico, vi sono requisiti tecnici ovvi, quali l’affidabilità dei sistemi di generazione (l’energia dev’essere fruibile), la mutua compatibilità, l’integrazione, la sostenibilità ambientale, ma anche, dicevamo, la sostenibilità economica, oltre alla necessità di poter far fronte al carico di base della rete elettrica e di poterne seguire le escursioni.
Vi sono poi considerazioni di riferimento generale da considerarsi per gli approvvigionamenti: diciamo l’ovvio, ma non possiamo non ricordare qui il bilanciamento delle forniture (il mix elettrico storico della Germania fu 1/3, 1/3 e 1/3: carbone, idrocarburi fluidi e nucleare) e la provenienza delle forniture stesse da aree geopoliticamente stabili. Sono ancora relativamente fresche le preoccupazioni per le crisi ucraine verificatesi negli anni scorsi. Un altro dato di fatto che va posto sullo sfondo è l’assenza di una vera riflessione di politica energetica europea dotata di una qualche reale organicità.
Entrando più nel merito per quanto riguarda il nostro Paese occorre ricordare la necessità di un forte impulso sinottico da parte dello Stato unitario (sarebbe ovviamente impensabile una politica energetica con valore complessivo da parte del Molise o della Valle d’Aosta) oltre allo sbilanciamento della bilancia commerciale che le nostre importazioni determinano, sbilanciamento imputabile non solo agli idrocarburi ma anche all’elettricità di origine prevalentemente nucleare importata dai Paesi d’oltralpe.
Il costo dell’energia, per imprese e famiglie, ha effetti devastanti sulla competitività di interi comparti nazionali ed ha un effetto tragico di compressione del mercato interno di beni e servizi, mercato che rappresenta un valore essenziale per lo sviluppo delle moderne economie.
Quindi occorre considerare l’importante questione delle ricadute sul sistema industriale interno: uno degli effetti di una politica energetica intelligente è quello di fornire a costi competitivi un prodotto alla cui progettazione, realizzazione e manutenzione possono essere chiamate a beneficiare maestranze ed imprese nazionali, con un indotto del massimo rilievo.
Un aspetto ancora di non trascurabile rilievo, in un mercato dell’energia aperto, è poi la sua attrattivitá per gli investitori, istituzionali ed industriali.
È necessario poi ricordare infine le implicazioni di stampo paesaggistico e naturalistico, collegate sia all’architettura industriale delle realizzazioni che alle possibili interfacce naturalistiche fra le infrastrutture e l’ambiente, che sono particolarmente qualificanti per un Paese come l’Italia: qui come ovunque un approccio progettuale non può che risultare assai più fecondo rispetto al rifiuto di qualsiasi cambiamento; anche poiché in un’Italia industrializzatasi ed inurbatasi senza grazia e bellezza, da cambiare vi sono invero molte cose.
Senza avere considerato esplicitamente questi aspetti, risulta ovviamente impossibile edificare e poi valutare la rispondenza di un sistema energetico, e bisogna notare il fatto che la maggior parte di questi elementi risulta totalmente assente dal dibattito pubblico al di fuori della cerchia stretta degli addetti ai lavori. Manca da molto tempo in Italia la consapevolezza della necessità di una conferenza nazionale sull’energia, costituita da gruppi di lavoro seri, orientati ad offrire soluzioni fattibili. È chiaro che il dibattito conseguente dovrebbe essere ampio ed aperto, ci verrebbe da scrivere corale ma, vista anche la cattiva esperienza accumulata in lunghi anni sin qui, sarebbe necessario affrancarlo da interessi di schiera, semplificazioni e dilettantismi, anche da parte di scienziati di riconosciuto valore in altri campi disciplinari, aspetti deteriori che si sono manifestati con indubbio carattere di egemonia nell’ultimo trentennio con i risultati non positivi che si devono riscontrare pressoché su tutti i parametri qui citati.