Libero, 24 aprile 2016
Di Giampaolo Pansa
Ma davvero dobbiamo linciare Guido Bertolaso? E prima ancora di linciarlo, dobbiamo farlo passare per una Via Crucis che non si è scelto lui, ma che ha accettato di percorrere per non respingere la richiesta di un leader politico con il quale aveva lavorato? Un leader che si chiama Silvio Berlusconi, un tempo padrone del centrodestra italiano. E oggi in difficoltà sotto l’assalto feroce di un branco di lupi guidati da un giovane assetato di sangue: il leghista Matteo Salvini.
Perché il Bestiario si fa queste domande? Perché nella vita di tutti arriva sempre il momento di mostrare di quale pasta sei fatto. Per i partiti politici, l’ora della verità scocca nelle campagne elettorali. Lì emergono tutte le rughe, i vizi, le vigliaccate, persino la stupida ferocia tenuta nascosta. In fondo anche questo è uno dei vantaggi della democrazia. Quello di far vedere a occhio nudo il bello e il brutto dei segreti che copre.
Adesso è arrivato un altro di questi frangenti. Il 5 giugno si voterà per decidere chi dovrà governare alcune grandi città, prima fra tutte Roma. Ma cosa accade nella Capitale che il Califfato nero si propone di conquistare? Succede che qualcuno dei partiti in gara ha deciso di cogliere l’occasione per anticipare l’arrivo delle milizie islamiste. E fargli trovare già fatto il lavoro.
Dove stanno questi partiti? Soprattutto nel territorio del centrodestra, l’area più sfasciata della politica italiana. Un tempo aveva un sovrano assoluto, Silvio Berlusconi. È stato il Cavaliere, tra il 1993 e il 1994, nel pieno della crisi di Tangentopoli, a portare i moderati a Palazzo Chigi. E farceli restare per un ventennio, sia pure alternandosi con i due governi ulivisti di Romano Prodi.
L’arma vincente si chiamò Forza Italia. All’inizio una fortezza inespugnabile, poi via via sempre più fragile. Oggi il partito del Cav esiste ancora, ma è soltanto il fantasma di se stesso. Era riuscito a superare una quantità di prove, dimostrando una capacità di resistenza che pochi gli accreditavano. Una di quelle prove fu la campagna di guerra scatenata dai media contro Silvio.
Il conflitto aveva un ferro di lancia: le dieci domande rilanciate di continuo da Repubblica, in quel tempo guidata da Ezio Mauro, un giacobino convinto di essere un incrocio tra Piero Gobetti e Norberto Bobbio. Quello che allora non riuscì al gelido direttore di Dronero, adesso rischia di riuscire a un leader che, in teoria, dovrebbe essere il più fedele alleato del Cav: Salvini.
Per comprendere davvero quel che succede attorno alla lotta elettorale per la conquista di Roma, bisogna tener presente una verità che di solito viene taciuta. A Salvini non importa nulla di far sventolare la propria bandiera sul Campidoglio. Della Capitale non potrebbe fregargliene di meno. Anzi da perfetto leghista la vorrebbe gettata nel guardaroba dei cani, vale a dire nella spazzatura. Il suo obiettivo è un altro: fucilare Berlusconi alla schiena e prendere il suo posto alla testa di un nuovo centrodestra italiano, nemico dell’Europa e dell’euro, indipendentista, poi separatista.
Temo che la signora Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia non siano del tutto consapevoli della strategia di Salvini. Me ne sono reso conto venerdì sera, quando Enrico Mentana, in una puntata avvincente del suo Bersaglio mobile su La7, ha interrogato la signora, candidata a fare il sindaco della Capitale. Il Bestiario nutre un gran rispetto per lei, ma ritiene che non sia assolutamente in grado di dedicarsi all’impresa di rifondare Roma.
A contare su quel versante è soltanto Salvini. Quel che pensi di Berlusconi, il capo della Lega lo ha spiegato a Salvatore Dama, di Libero, nell’intervista pubblicata ieri. Lui ritiene il Cavaliere un vecchio rimbambito, «che ha perso la bussola». E immagina un centrodestra guidata da se stesso. È possibile che ci riesca, poiché il leader dei leghisti non mette limiti alle proprie ambizioni. È un cinico pronto a tutto. Anche a mandare al massacro la signora Meloni. Una brava quarantenne, bella, appassionata, irruenta, urlatrice, ma destinata alla sconfitta.
Salvini sa bene che la signora Meloni non sarà mai il sindaco di Roma. Ma neppure questo gli interessa. Sembra in preda a un attacco di megalomania. Dichiara di essere stufo di un Berlusca pronto a fare un altro piacere al premier Renzi. Grida che Bertolaso è del tutto inadatto anche a dirigere un comunello di montagna. Ha infilato una serie di cazzate mai sentite prima. Il Cavaliere non è in grado di liberarsene perché piace alla propria fidanzata, Francesca Pascale. Poi Salvini dirige la sua furia anche contro Antonio Tajani, deputato europeo di Forza Italia, accusandolo di comportarsi da zerbino della cancelliera tedesca Angela Merkel. Mentre Silvio ha la nostalgia di Renzi e di Verdini, al punto di voler rimettere insieme quel trio magico.
È in questo scenario da Cena delle Beffe che va inserito quanto sta accadendo a Bertolaso. Oggi è ancora il candidato sindaco di Berlusconi e della quota di Forza Italia fedele al Cavaliere. Per quanti giorni lo rimarrà? Ecco una domanda senza risposta. Ma il Bestiario, lo sfogatoio di un giornalista attempato che non voterà a Roma poiché ha abbandonato in tempo le rovine della Capitale, osserva indignato quanto accade a Bertolaso.
Tutti conosciamo i meriti di chi ha rifondato e guidato la Protezione civile italiana. Sappiamo pure delle inchieste giudiziarie che lo affliggono. È lo scotto inevitabile per chi riveste una carica pubblica in questo nostro sfortunato Paese che sta correndo a occhi chiusi verso una nuova guerra civile. Però tutto si può dire di Bertolaso, tranne che non abbia le qualità giuste per diventare il sindaco di Roma.
E tuttavia lui non riuscirà mai a farcela. Ha troppi avversari e altrettanti alleati dei quali fa bene a non fidarsi. Ma il Bestiario vuole rendergli l’onore delle armi. E dire almeno una parola in sua difesa. Sapendo che diventerà l’uomo nero da abbattere. Non da Roberto Giachetti, il candidato del Partito democratico, forse destinato a vincere. E nemmeno dalla leggiadra avvocata Virginia Raggi. La candidata dei Cinque Stelle, che alle domande di Mentana ha risposto con la diligenza della brava studentessa che sa tutto dei sette re di Roma, ma poco delle buche, delle fogne, dei rifiuti e dei topi che stanno distruggendo la Capitale.
Posso concludere confessando che m’importa poco di chi conquisterà il Campidoglio? Al tempo della Prima Repubblica, un leader politico del calibro di Giuseppe Saragat, forse sulla scia di un motto pronunciato da un gigante come Charles De Gaulle a proposito dei francesi, disse: «Governare gli italiani non è difficile: è inutile».
Roma non cambierà mai. Insieme a tanta gente onesta, volonterosa e pronta a sacrificarsi per questa città, ospita un numero terribile di barbari nati lì. Sono anche loro romani, ma non hanno rispetto per il territorio che li ospita. Se fossi al posto di Bertolaso, ritornerei a fare il medico in Africa. Se fossi al posto di Alfio Marchini, il candidato civico che vorrei vincesse, prima di affrontare una campagna elettorale all’ultimo sangue ci penserei cento volte. E andrei a fare il giro del mondo in bicicletta.