Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione con la nostra Cookie Policy.

Lintraprendente.it  sabato 26 dicembre 2015

di  Giulio Terzi di Sant'Agata

La Risoluzione 2244 approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu venerdì con il “piano di pace” per la Siria è la dimostrazione provata del vuoto occidentale. La Risoluzione è passata come una lettera alla posta dopo che Kerry era corso a Mosca per assicurare Putin che Obama non insisteva più sul “cambio di regime” a Damasco.

Proprio in quello stesso momento Human Rights Watch presentava al mondo, e anche a Mosca che censurava però il rapporto su tutta la stampa della Federazione, le prove dei siriani assassinati dal regime, orrendamente mutilati e torturati, e fotografati uno per uno da un ex agente della sicurezza siriana. La Russia nel settembre scorso aveva posto il veto a un progetto di Risoluzione francese al Consiglio di Sicurezza per deferire Assad alla Corte Penale Internazionale per Crimini contro l’umanità.

Il Wall Street Journal titola oggi: «La strada di mattoni gialli della Siria». Mattoni gialli perché la risoluzione Onu di venerdì scorso rappresenta solo l’ultimo degli «accordi a ogni costo» sottoscritti da Obama alle condizioni di Putin, di Khamenei e di Assad. Il quotidiano conservatore graffia così: «Nel mondo della diplomazia fantasiosa abitato dall’amministrazione Obama, questa risoluzione apparentemente conta come una vittoria. Essa prevede un cessate il fuoco, una transizione politica (nella quale gli Usa acconsentiranno a lasciare Assad), un governo inclusivo, elezioni libere e una nuova Costituzione. Tutti obiettivi dichiarati che non si spiega però in alcun modo come raggiungere». Perché solo russi e iraniani hanno forze ingenti sul terreno che sono lì per assicurare la continuità di un regime che consenta a Iran e Russia di esercitare un ruolo esclusivo in Siria e Iraq, con l’allontanamento di tutti gli altri stakeholders.

Una strategia contrastata dalla Turchia. Ankara si sente così minacciata da aver voluto risolvere in un batter d’occhio ogni preesistente contenzioso con Israele. Identiche sono le inquietudini tra i paesi sunniti che si sono riuniti su iniziativa di Riyad per contrastare la deriva lasciata aperta dall’appeasement di Washington.

Il disimpegno americano dalla Siria a dal Medio Oriente è schermato ora da una ben orchestrata pubblicità sull’intesa con la Russia. Si accentua però la debolezza negoziale di Obama verso Mosca, Teheran e Damasco. Tali sviluppi sono perfettamente avvertiti dai trentaquattro Paesi che si sono impegnati a sostenere la Coalizione dell’Opposizione Siriana al negoziato di Vienna. Non sono più soltanto i paesi del Golfo a rispondere alle sollecitazioni saudite. Si aggiungono ora Paesi come il Pakistan, in passato riluttante a farlo, l’Egitto, diversi Paesi Africani e asiatici come la lontana Indonesia. L’assai discusso “mediatore” Onu, da par suo, ha messo immediatamente le mani avanti sulla improbabilità che sia rispettato il calendario previsto dalla risoluzione di venerdì scorso per il cessate il fuoco e l’avvio delle trattative a Vienna. Un passo avanti e subito due indietro?

L’unica certezza per ora è che i bombardamenti russi mietono centinaia di vittime civili e di bambini, soprattutto in zone dove l’Isis non c’è, mentre quelli americani che cercano di erodere la presenza dello Stato Islamico a Raqqa si confrontano con i limiti posti, appunto, dalla necessità di evitare al massimo vittime tra la popolazione civile. Come possono convivere a lungo due strategie, quella russa e quella occidentale, così diverse quanto a “regole di ingaggio”, rispetto per il diritto umanitario e per l’obiettivo di trasformare la Siria in uno Stato di diritto anziché di perpetuare il regime dell’orrore? Probabilmente non possono convivere. La stagione della “diplomazia fantasiosa” evocata dal WSJ sembra dover comunque avere vita più breve della “road map” di diciotto mesi tracciata venerdì al Palazzo di Vetro.