L'Uffington Post, 11 novembre 2015
di Lucia Annunziata
Il giovane Renzi venne a Roma, barbaro fiorentino, e fece l'impresa. Davanti all'imponente portone che custodiva il Regno, invece di fermarsi sfondò a calci l'ostacolo: aveva capito quello che nessuno aveva mai osato neppure sospettare - che il portone era marcio.
Quella sua audacia e intuizione rimangono a oggi il carattere che segna la sua leadership. Poco avevamo immaginato (incluso probabilmente il Premier) che marcio non era solo il portone ma l'intero Regno.
Fuori da metafora - l'inchiesta sulla corruzione di De Luca in Campania, o anche solo il sospetto che essa solleva, eleva il problema del crollo del Pd da una caotica gestione del territorio al collasso sistemico delle istituzioni locali, di cui il Pd è l'asse portante, il partito il cui destino è impastato - non fosse altro che per lunghezza e numero di governi locali che ha gestito - al destino di regioni, comuni, province, fondi pubblici, fondi europei, sanità, cioè tutte le principali voci che fanno di una Nazione uno Stato.
È un collasso che si è appalesato lentamente negli anni. Ha preso inizialmente la forma di scontenti locali, rotture interne fra correnti, ferocia di battaglia politica, caudillismo e personalizzazione, per poi tramutarsi in una caduta di partecipazione elettorale, in assoluta inadeguatezza delle classi dirigenti locali, fino a fiorire nel peggior scenario - quello dell'intreccio fra battaglia politica, governo locale e corruzione.
Questa linea di continuità che ho appena descritto farà sicuramente arrabbiare in molti. Sento già le proteste: "ma come si fa a fare di tutta l'erba un fascio mettendo tutta la vicenda del Pd insieme a Mafia Capitale e la corruzione di un giudice alla napoletana?"
Si è vero. Quello che accade da anni nel Pd è un insieme di vari fenomeni, fra loro disuguali.
Ma a questo punto va anche fatto uno sforzo di onestà, e va chiesto quale sia il capo di corruzioni sempre più estese; se davvero non ci sia una continuità fra vicende così diverse fra loro. E a mio parere questa continuità esiste se non sul piano morale certo su quello politico, fra la disgregazione dell'apparato, della classe dirigente, del senso stesso di partito e le sue cadute finali nella corruzione.
La guerra interna che ha fatto perdere al Pd la Liguria, la spaccatura che ha causato la caduta verticale dei votanti in Emilia Romagna, la divisione che ha portato alla elezione a sorpresa prima e alla rapida giubilazione poi di Marino a Roma, l'affermarsi di candidati sempre più indipendenti da ogni legame con il centro nazionale, con interpretazioni di cosa significa essere nel Pd sempre più eccentriche, con un risultato finale di tutte queste tendenze in una sorta di patchwork che include Crocetta e De Luca, Bonaccini ed Emiliano, Fassino e Nardella, questa frammentazione e differenziazione di esperienze e classi raccontano la sostituzione di una collezione di nomi, una lista di situazioni, al partito stesso.
Il partito come istituzione che, attraverso una cultura e un programma comune, è capace di guidare e indirizzare la cosa pubblica, è oggi più un desiderio, una fantasia, che una organizzazione reale. Il Pd è oggi poco più di una sigla vuota, dentro cui si muove di tutto e di più. Senza controlli, senza responsabilità, senza doveri.
Che dentro questo vuoto negli anni siano proliferati comportamenti personalistici, affaristici, e direttamente corruttivi, è diventato quasi inevitabile. Il rapporto fatto sul Pd romano da Fabrizio Barca e Matteo Orfini è la drammatica descrizione di questo processo e la unica fotografia di cui abbiamo bisogno per capire il legame nemmeno più tanto oscuro fra crisi di una classe dirigente e la corruzione di una organizzazione.
Tutto questo non ha a che fare con Renzi, lo dico con convinzione. L'evoluzione che stiamo osservando, pre-data il suo arrivo. Anzi l'indebolimento del Pd è stata la ragione profonda della sua affermazione - la sua campagna sulla "rottamazione" è subito non a caso risuonata nelle orecchie delle migliaia di militanti e di votanti a sinistra. L'Opa di Renzi sul Pd ha semmai accellerato e fatto venire a galla fenomeni che già esistevano - ancora una volta la Campania e Roma sono un perfetto esempio.
Ma pur senza aver responsabilità diretta nella decadenza del Pd, il Premier oggi ne è - e ormai da quasi due anni - il segretario e non può più sfuggire alla necessità di affrontare questo collasso. Finora ha usato la tattica del "rammendo", mettendo piccole o grandi toppe, ricucendo strappi e tappando buchi.
Ma Napoli, dopo Roma, dimostra ora quanto drammatiche possano essere le conseguenze del "rappezzo", l'adattarsi a quel che già c'è, il voltarsi dall'altra parte rispetto al problema posto dalla mancanza di una classe dirigente adeguata ai suoi compiti.
Matteo Renzi deve ora rompere ogni ambiguità e ogni temporeggiamento. Parli intanto chiaro sulla vicenda della giunta De Luca - se è vero infatti che va accertata la diretta responsabilità corruttiva del governatore, non si può ignorare nemmeno la responsabilità politica di aver creato all'origine l'attuale clima melmoso, scegliendo di candidarsi contro una legge dello stato. Andava fermato allora, ora è ben chiaro. E affronti Renzi, fin da subito, tutti i nodi delle prossime amministrative: dica la sua opinione sulle primarie, scelga gli uomini e le donne che vuole, indichi i criteri che secondo lui servono per essere eletti. Si assuma tutta la responsabilità che gli è stata conferita come Premier e come segretario del Pd, e porti avanti il suo rinnovamento, anche a costo di fare altre rotture. Ma almeno che faccia chiarezza. Anche chi è in disaccordo con lui non può che volere questa chiarezza.
Le amministrative prossime si identificano infatti ogni giorno di più come le prime vere elezioni della leadership renziana. Dal loro esito dipende a questo punto non tanto e non solo il destino di questo o quel politico, e nemmeno tanto e solo il destino del governo. In ballo a primavera ci sarà il riavvio o meno della governabilità italiana: un elemento essenziale per rafforzare o meno i primi segni di una ripresa economica del paese.