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Il Corriere della Sera, 1 agosto 2015

di Dario di Vico

Matteo Renzi alla fine ce l’ha fatta e sulla Rai il governo ha incassato con ampio scarto di voti l’ imprimatur del Senato. Senza voler sottovalutare il peso numerico della sinistra dem e soprattutto la sua indubbia autorevolezza, gli avversari interni del premier appaiono come quei calciatori più bravi nel rilasciare le interviste pre partita che nel farsi valere nelle mischie sottoporta. Anche Matteo Salvini quando deve passare dalla propaganda spicciola, e spesso scontata, a dare prova di vera incisività politica mostra tutte le sue lacune o comunque i suoi ritardi.

I Cinquestelle, dal canto loro, sono bravissimi nell’esercitare la critica feroce del potere fino allo sberleffo ma si perdono un attimo dopo. Così il vero partito di opposizione al renzismo resta il Pil, un partito dannatamente concreto e che non si piega ai desiderata di Palazzo Chigi. Aspettiamo i dati di metà agosto sul secondo trimestre del 2015 ma intanto i riscontri che di volta in volta vengono dalla produzione industriale, dall’occupazione e dagli indici di fiducia ci fanno vivere sull’ottovolante, un giorno sembrano autorizzare l’ottimismo più limpido, il giorno dopo ci riservano una doccia scozzese. E ieri con le ultime rilevazioni sul tasso di disoccupazione è successo proprio così. La verità è che si sta confermando l’intuizione secondo la quale l’economia del dopo crisi sarebbe stata un’altra delle terre incognite alle quali dovremo abituarci.

I cicli economici si preannunciano molto più corti, sembra profilarsi una scissione tra recuperi di efficienza e ricadute sociali, i rapporti di potere si spostano a favore delle piattaforme digitali e a discapito dei produttori (tagliando sì l’intermediazione ma non generando nell’immediato ricchezza alternativa). Da cronisti annotiamo come in Italia i bilanci delle banche e delle imprese tornino ad essere lusinghieri - a volte anche in maniera pronunciata - mentre le rilevazioni sui posti di lavoro, la povertà e la condizione del Sud scandiscono il perdurare di un’ampia condizione di disagio. Si è già parlato a lungo delle riprese senza occupazione, il rischio è di trovarci di fronte anche a un ampliamento delle distanze tra vagoni di testa e vagoni di coda. I tempi di trasmissione della ripartenza possono essere più lunghi di quelli che conoscevamo, se non altro perché in materia di occupazione c’è da riassorbire il maggiore stock di cassa integrazione della storia.